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LE  TRAVERSATE  in  SCI

Tentativo di descrizione storica  e generale

“Come descrivere in breve un viaggio cosi lungo? Io me lo figuro come la scalata di un ‘immensa montagna di cui subito si perda di vista la base e la cui cima sia cosi lontana da restare a lungo dimenticata e che, anziché nel cielo, si “innalzi” verso nord: il superamento di un gruppo montuoso diviene un semplice passaggio e l’interminabile giornata in cui si svolge l’ascensione è in realtà composta dal variare delle stagioni”.

(Franco Michieli, geografo-esploratore).

 

 

 

 

 

Una traversata in sci è una permanenza di settimane, spesso di mesi, ma in marcia costante, con l’obiettivo di traversare, appunto, una grande terra selvaggia ove non sarebbe possibile (per mancanza di strade e di una qualsiasi presenza umana) arrivare altrimenti. Va quindi da sé che wilderness (grande terra incontaminata) è un altro sinonimo di “traversate”. Va quindi anche da sé che, mancando un qualsiasi punto d’appoggio, è necessario portarsi dietro tutto il necessario per la propria sopravvivenza.: dentro la pulka (“slitta”, in norvegese, patria da sempre dei migliori esploratori…)  ci tireremo quindi dietro tutto l’occorrente ed essa diverrà la nostra casa (proprio come una lumaca): sacco a pelo, tenda, fornello, viveri. Il minimo assoluto indispensabile, ciò di cui davvero non si può fare a meno. E nonostante ciò la pulka spesso pesa da spezzare i fianchi...

“Traversare le terre selvagge”…: si tratta innanzi tutto del più antico modo di spostarsi. Quindi, ancor prima che appannaggio degli esploratori, giunti assai più tardi, “andare da un luogo all’altro”, ”Neerjinjk”, come ancora ricordano nella loro antichissima lingua i nativi d’Alaska, fu modus vivendi della prima umanità. Basti pensare ai vari gruppi nativi dell’Europa o del nord America all’epoca appena susseguente l’ultima glaciazione, quella denominata dei “raccoglitori-cacciatori”, epoca in cui l’intera comunità doveva spostasi da un luogo all’altro in continuazione, in cerca di selvaggina, usando solo lunghi pali come slitte in cui poter trascinare i propri pochissimi averi, pali poi utilizzati per montare la tenda, la propria casa, ogni sera… Si’ furon proprio loro gli antesiniani di coloro che in seguito sarebbero stati definiti esploratori; o forse, gli esploratori, figura nata negli ultimi trecento anni, son divenuti tali al fine di ritrovare antiche radici, rintracciare rotte perse nella notte dei tempi, appartenute a quando l’umanità era giovane, e ancor radicata alla propria madre Terra. Non vi era stabilità, ai tempi della preistoria, il vagare era un fattore fondamentale, pena la sopravvivenza stessa del gruppo. Le mandrie di Caribou si spostavano inseguendo il ritirarsi dei ghiacci, i lupi inseguivano i Caribou e lo stesso facevano i gruppi umani…; come appena ricordato, ancora oggi tra i nativi Gwich’in dell’Alaska settentrionale si ripete appunto ”Neerjinjk”, We traveled from Place to Place, riferito ai propri antenati più lontani, certo, ma non solo: quando lo si fa, si parla ancora dei propri nonni stessi, di un passato quasi ancora recente…, non più di 70 anni fa era ancora questo l’unico modo di vivere.

Tutto nacque per necessità di sopravvivenza, dunque ma, mi vien ora da pensare (e quanto dico nasce da quel che io, quanto meno, traggo dalla mia esperienza, ma anche da ciò che intuisco da numerosi altri esploratori/scalatori di questa epoca o di epoche meno recenti…) è questo: che anche oggi, traversare, permanere il più a lungo possibile nel cuore delle terre selvagge, tornando a coglierne il canto Antico, sia anch’esso questione di sopravvivenza come lo fu per i preistorici. Con l’unica differenza che la loro era una sopravvivenza fisica, mentre la nostra, oggi, è divenuta esigenza spirituale-vitale…, bisogno urgente per l’uomo moderno: ritrovare ciò che si è perso, l’antico legame, le antiche radici…  

Tutti (o quasi) sappiamo quanto questo sia reale. Lo avvertiamo nel nostro vivere quotidiano, lo leggiamo nel volto di ogni persona incontrata, ed in ogni angolo del Pianeta…: grigiore, tristezza…

Ma per tornare alla storia dell’esplorazione e completarne la descrizione…: solo verso il 1700 essa divenne lusso di pochi, una prima elite che potè permetterselo per solo diletto: iniziar a traversare le terre selvagge cosi’ come il salire le vette più alte… Prese così il via la grande epopea  dell’esplorazione delle terre Artiche e di quelle Antartiche. Nei primissimi tempi, circa un secolo fa, esse duravano anni, quando ad un’eterna traversata in mare seguivan traversate via terra che spesso divenivano tragici calvari o epiche avventure di sopravvivenza, in cui lo scorbuto era il nemico numero uno assieme all’estremo isolamento capace di minare anche le menti più salde… Le più epiche di queste avventure portan i nomi di Shackleton in Antartide o di Nansen al Polo Nord.…; imprese d’altri tempi, si suol dire, compiute ai limiti dell’inimmaginabile da gente con una stoffa psicofisica che oggi è difficile poter ancora scovare… Erano persone in cerca, certamente, coloro che si imbarcavano in simili imprese. Persone che avevan intuito che c’era qualcosa…; avevan percepito l’esistenza d’altro, all’interno di se stessi…

…l’ammiraglio Vitus Bering, il capitano James Cook, Schackleton, Scott, Nansen, Amundsen, Nordenskjöld, o Magellano…, per citarne solo alcuni. Imprese certo anche motivate, a quei tempi, da forti spinte nazionalistiche o economiche, come accadde per la ricerca del passaggio a Nord Ovest nel settentrione del Canada o del Passaggio a Nord-Est, a nord della Siberia. Quell’esser i primi in nome della propria patria che via via, col tempo, fin ai giorni nostri, si è trasformato al… solo volerci Essere..: per se stessi, per capire chi siamo ritrovando quell’antico contatto perso con la Terra… Messner, Børge Ousland, Rune Gjende, Arne Naess, Franco Michieli…, e tanti altri esploratori odierni.

La semplice bellezza di esserci, dunque…: non più per la selvaggina e la sopravvivenza del gruppo; non più per essere i primi ad aver piantato su quei ghiacci la bandiera del proprio paese, ma semplicemente….: Esserci. Esistere.

Che è quanto, da sempre, spinge me.

La definisco anche, a volte… “Una semplice scusa per poter esser là fuori, come durante i mesi autunnali, quando faccio legna nel bosco”…. O, per dirla con le parole del Britannico Mallory negli anni venti…:

“Perché scala le montagne?”.

“Perché esistono…”!!

Poichè…, se quasi tutti conosciamo la bellezza, il rilassamento, la chiarezza che torniamo a sperimentare dopo anche un sol week end passato nella natura lontani dal consueto tran tran cittadino…., è facile allora poter giunger ad intuire cosa possa accadere dilatando detto week end a mesi e mesi di permanenza nel grande Silenzio… Traversata è sinonimo di questo…; solo traversando, tale miracolo di Ritorno alla nostra sorgente, accade. Solo nella lentezza…

Provare per credere…  

Una traversata di una qualsiasi terra selvaggia dunque (non sto mai via meno di 4 mesi…), la vivo sempre come un dono, un privilegio senza pari…  Ed e’ la bellezza di esserci, come detto, non tanto la meta, ciò che mi spinge ogni volta a partire per mesi e mesi di…fame, fatica, gelo, spesso paura… Ma la bellezza è tale, che annulla tutto ciò.

Attraverso…, e mi… lascio traversare; e gli spazi, giorno dopo giorno, tornan a calar dentro me…: luce dietro agli occhi, fiato tra le stelle…., amo spesso ripetere per definire questi miei viaggi; ma la spiegazione di questo, la rimando ad altra occasione.

O, per dirla con Gastòn Rebuffat…:

“Gli spazi conquistati, son anche gli spazi che ci hanno conquistato…”.

In tanti mi chiedono…: “Ma come fai…, come si fa a star per cosi tanti mesi senza nulla…”. E capisco la domanda soprattutto per il fatto che conosco la modalità di consumo ed usa e getta dalla quale nasce, nella quale si è immersi oggi, quella in cui ci insegnano ed inculcano sin da bambini che si ha bisogno di mille ed una cosa…

Per contro, la mia risposta, è sempre la stessa…

”Mai son stato cosi povero di cose come in questi  5 mesi…, eppure, mai cosi ricco dentro…”.

E’ tutto qui.

 Ora, con questo nuovo progetto Artico per l’Orso Polare (Nanook nelle lingua degli Inuit), i miei intenti son diversi…:

-Vorrei sensibilizzare, chi vorrà seguirmi (non in sci!!), riguardo l’importanza assoluta di creare un’immensa area protetta dall’UNESCO, in altre parole render l’intera zona Artica Patrimonio Mondiale dell’Umanità…: a ricordo imperituro della nostra (una volta tanto…) assennatezza come esseri umani, e non, della nostra follia e scempiaggine.

-Vorrei rammentare…quali e quanto profonde fossero le Radici che abbiamo troncato….

-Certamente vorrei cercar di farmi umilmente portavoce di un dramma di cui pochi sanno (quello dell’Orso Polare) e di cui altri pochi ma sufficientemente iper potenti, son pronti come iene fameliche ad approfittarsi..., estraendo il petrolio dal Polo Nord. Vorrei farlo prendendo spunto proprio da quella domanda che tante volte mi è stata posta (“ma come fai….?”) e soprattutto, dall’ultima parte della mia risposta…: “…ma mai cosi ricco dentro…”.

 

Nel senso…: come si è mai potuti arrivare a render il nostro cosi bel Pianeta…, un luogo cosi brutto e sporco…? E cosa abbiamo fatto alla nostra anima stessa? Che poi ne è diretta conseguenza…

Forse non abbiamo preso un po’…troppo, pensandoci nel diritto e soprattutto nel bisogno di doverlo fare….? Io penso che è cosi…, come bimbi viziati, abbiam pensato di poter prendere e che ciò che prendevamo fosse inesauribile; solo a tal modo posso spiegarmi la nostra cecità e scelleratezza nei confronti di chi sarà qui dopo di noi….

Ora però la Terra ci sta presentando il conto; esso è già da tempo tra le mani di Nanook (o meglio, sotto le sue zampotte…) e quando davvero avremo questo conto anche tra le nostre mani, cosi incandescente da non poterlo tenere…, allora,  e solo allora, capiremo…, ma sarà allora troppo tardi…

Traverserò tutte le terre di cui Nanook era (è!!) re e simbolo da tempi immemori. Lo farò per mostrare a cosa il nostro prender e pretender troppo ha portato… Lo farò cercando di mostrare anche, con le mie marce “senza nulla eppur tanta ricchezza dentro”, che non si ha poi bisogno di cosi tanto…

Che potremmo anche far a meno di accaparrar proprio tutto, lasciando magari qualcosa anche a  Nanook oltre che ai nostri figli…  

 “Ci hanno tramandato, coloro che vissero qui prima di noi…” mi disse un giorno un anziano Gwich’in, Alaska settentrionale, “che dobbiamo sempre tenere a mente sette generazioni da oggi… Qualunque azione o gesto noi si compia, dobbiamo sempre chiederci quale conseguenza avrà la nostra azione…; ma non domani né tra 4 anni…, bensì tra sette generazioni da oggi. Sette, hai capito?”.

Abbiamo fatto altrettanto…?

-Vorrei dar spunti, con le mie prossime traversate, per un semplice fatto: che è possibile una via diversa.

Se ci riesco io sui ghiacci a -40 per mesi…, tornandone ricco…, come potrebbe non riuscire a chiunque semplicemente, nel sicuro calore di casa propria. Certamente non occorrerà quindi seguirmi sui ghiacci artici…! Basterebbe cambiare ottica, basterebbe guardare le cose da un lato diverso, quello di Nanook ad esempio… O quello dei Nativi…: che tutto è Sacro, dal gesto più “insignificante” alla galassia più remota.

In altre parole, basterebbe riscoprire Il Diamante che ci portiamo dentro sin dalla nascita e che cosi in pochi riusciamo a vedere e quindi…, a farci bastare!

Marcerò per Nanook, ma la sua casa è la stessa nostra...

 

Una testimonianza di ciò che sta svanendo

con la testimonianza di ciò che abbiamo dimenticato…

 

 

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“It’s extremely important that expeditions like these take place…just to make clear to the world what we gonna loose if we loose the Arctic. There are scientists who believe that the arctic ice in the summer they only have 8 or 9 years to go, I mean scientists like James Lovelock…you know, that is incredibly sad. And so you know, expeditions like these can actually capt the beauty of the Arctic, possibly just for posterity, I mean it may well be that we are not too late to save it. I think they are doing a very important job… Hopefully we can come up with a tecnological answer to global warning… We have a price, a 25 milion dollars price to see if anyone comes up with the way to extract carbon dioxhide from the atmosphere; we are stil trying to encourage brilliant young minds to see if they can do that…., because you know if we could extract carbon dioxhide from the atmosphere we could regulate the temperature and actually save the arctic. But we should by no means rely on that because there is good chance people will not succed on that…, so we need to have other means possible to try to save this beautiful Arctic and this beautifull Planet, here and the sooner!”

Richard Branson, Ellesmere Island Traverse (www.virgin.com)

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